La corsara Ma come è loft la vita con il pubblicitario
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Di Selvaggia Lucarelli
Questa settimana il protagonista della mia personale classifica «fauna maschile da evitare nella metropoli milanese» è il pubblicitario. È bene che le donne lo sappiano: un anno di vita con un pubblicitario medio equivale, per stress e consuzione fisica e psicologica, a circa tredici anni di guerra in Vietnam o, in alternativa, a un viaggio Como-Reggio Calabria sul Porsche Cayenne di Fabrizio Corona. Queste le principali caratteristiche della specie «pubblicitario»:
- il pubblicitario, in particolare il direttore creativo e l'art director, indossa un'unica divisa, ovvero quella del «finto giovane». Anche se ha il kukident nel borsello e figli al terzo divorzio, state certe che il vostro amato direttore creativo girerà perennemente in scarpe da ginnastica, jeans e t-shirt con scritte rigorosamente creative e umoristiche con cui presentarsi in ufficio garantendo così un valido argomento di discussione a copywriter e account altrimenti disoccupati o su youtube a vedere filmati di Billy Ballo, almeno nelle prime due ore lavorative della giornata.
- il pubblicitario, sia che lavori in una grossa multinazionale o che al massimo abbia realizzato la campagna per la ditta di spurghi del suo paese nell'agrigentino, si sente un artista a tutto tondo. Lui conosce fotografi, ha lavorato con registi inglesi e americani, va a mostre e vernissage, non perde mai la biennale a Venezia. L'importante è prendere tutto per buono e non indagare, perché bastano due domande innocenti per scoprire che: a) il fotografo americano di fama mondiale con cui ha lavorato è effettivamente il numero uno al mondo nei primi piani a colori delle tavolette di cioccolato amaro; b) il regista inglese è il più affermato in Europa per il grande lavoro che fa con gli attori: il gatto siamese di Gourmet Gold, per esempio, si lecca i baffi solo se vede lui dietro la macchina da presa e lancia uno sguardo al pollo in gelatina che pare De Niro «Taxi driver» solo perché si fida del regista; c) non perde una mostra o un vernissage ma stranamente, se gli chiedi «che ne dici di Bacon?» lui ti risponde che gli piace solo sopra le uova e affumicato; d) va a Venezia e visita la Biennale di cui decanta le opere di artisti emergenti dichiarando che starebbero benissimo nel suo salotto. Poi se gli domandi: «Beh, hai fatto qualche investimento?», ti risponde: «A Venezia? Certo! La sera al Casinò ho puntato ottocento euro sul nero-dispari».
- il pubblicitario rampante vive rigorosamente in un loft perché il loft «fa figo». Non fategli vedere un muro tra un ambiente e l'altro perché diventa una bestia. Se gli chiedete «perché è stato abbattuto il muro di Berlino?», lui vi risponderà: «Perché a Berlino est hanno cominciato ad andare di moda i loft». Ovviamente, il pubblicitario, non vi dirà mai la verità: non vuole pareti perché così, anche sedute sul water del suo cesso open space, potrete ammirare la teca in salotto contenente il «Leone d'oro» per il miglior spot nella categoria «assorbenti con le ali».
- il pubblicitario, ha un romanticismo non indifferente. Scena di vita vissuta: «Amore, vedi che bella quest'ora del giorno, tra il tramonto e l'imbrunire? Qualcuno l'ha chiamata «magic hour». E io: «Chi, Hemingway?» e lui: «No, i registi di spot d'automobili. È l'ora in cui la luce esalta al massimo la carrozzeria delle berline».
- il pubblicitario, divorato dal suo narcisismo, perde coscienza di un fatto fondamentale, ovvero che discute di minchiate tutto il giorno ma con la solennità e la prosopopea di chi è convinto di esser lì a decidere le sorti del mondo. Se state con un pubblicitario vi potrà capitare che torni a casa affranto o nervosissimo dopo una lunga giornata di lavoro perché secondo lui la comparsa cinese dello spot dell'amaro aveva la giacca un po' lunga sulle maniche o perché il cliente dei detersivi, dopo una riunione fiume di sei ore e mezzo con account, art director e registi, ha stabilito che il problema dello spot non è la fotografia eccesivamente patinata, non è lo slogan troppo sibillino, non è il messaggio poco in linea con il target, no. È che c'è poca gnocca.
- Il pubblicitario viaggia spesso in giro per il mondo e per ragioni del tutto incomprensibili. Che so, deve girare lo spot di un telefonino e la scena da girare prevede che una tizia telefoni alla mamma seduta al tavolino di un bar? Ecco. Il pubblicitario vi annuncerà che va quindici giorni a Honk Kong a girare il nuovo spot Nokia. Se tenterete una timida replica quale: «Scusa ma il bar sotto casa non andava bene?» lui vi risponderà inorridito che a Honk Kong ci sono dei bar bellissimi, che i grattacieli si riflettono sul display del telefonino creando un incredibile effetto ottico, che la testimonial è di lì e con viaggio e fuso orario in Italia potrebbe arrivare sciupata, che lì la manodopera costa meno, che la sua presenza sul posto è fondamentale. Ovviamente, quando ci sarà da girare lo spot di una ditta di condizionatori in Barbagia a Ferragosto, il vostro amato pubblicitario riterrà la sua presenza sul posto non indispensabile.
- Il pubblicitario è single per vocazione. Per lui «creare una famiglia» significa organizzare un casting e scegliere un uomo pettinato come Alessio Vinci, una donna con le sembianze di Milly Carlucci e i due figli biondi di Montezemolo. Non provate a redimerlo. Durereste, al massimo, quanto uno spot.